Le pagine di Cismon da Cismon
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Azione partigiana al Tombion
Nella primavera del 1944 nel forte del Tombion era stata depositata una enorme quantità di esplosivo: doveva servire ai tedeschi per la costruzione delle fortificazioni in corso nella zona di Cismon del Grappa. Sarebbe sorta una linea gotica arretrata in caso di sfondamento di quella padana. Ma nella notte tra il 6 e il 7 giugno 1944, la galleria presso il forte, con 23 quintali di dinamite, venne fatta esplodere lasciando un cratere di 30 metri sulla ferrovia della Valsugana. Troppi convogli militari tedeschi, dirottati dalla linea del Brennero, transitavano su quell'unico binario.
Fu il più importante atto di sabotaggio a livello europeo compiuto dalla Resistenza italiana: ne diede notizia, elogiando i protagonisti, anche Radio Londra. Ma sentiamo da Paride Brunetti, "Bruno", comandante della brigata "Antonio Gramsci" con sede a Pietena, sulle Vette Feltrine dalle quali scese con un pugno di uomini a dirigere l'azione, come si svolsero i fatti: "Verso la fine del maggio 1944 perviene alle formazioni garibaldine operanti nel bellunese la richiesta alleata di sabotare la linea ferroviaria che collegava Trento a Bassano percorrendo la Valsugana. Tale richiesta era motivata dal fatto che, essendo notevolmente ridotta, a causa dei continui bombardamenti aerei, l'efficienza della linea ferroviaria del Brennero, una parte del traffico militare tedesco veniva dirottata sulla linea della Valsugana, che risultava meno vulnerabile agli attacchi aerei. Dall'esame della situazione risulta che tra Primolano e Cismon del Grappa, nel punto più stretto della Valsugana dove ferrovia e strada statale quasi si lambiscono, sorgeva il forte del Tombion che era stato attivo durante la prima guerra mondiale e che in quel momento veniva utilizzato dai tedeschi come deposito di esplosivo (impiegato nei lavori di fortificazione che stava effettuando la Organizzazione Todt). Proprio di fronte al Tombion si trovava la omonima galleria ferroviaria. Viene quindi deciso di attaccare il deposito e utilizzare l'esplosivo ivi contenuto per sabotare tale ferrovia. La sera del 6 giugno 1944 in località Menin di Cesiomaggiore, in casa di Oreste Gris che dopo quell'azione assumerà il nome di battaglia di "Tombion", ha luogo una riunione in cui viene progettata nei dettagli l'azione da eseguire. Sono presenti "Bruno", che guiderà l'azione, "Oreste" che impartisce tutti i suggerimenti tecnici e fornisce alcuni materiali (miccia, detonatori e persino fiammiferi antivento) e i garibaldini "Tanicio", "Alessio" e" Kuznesotzov". Verso le 22 i cinque partono per il Tombion. A mezzanotte, ai confini tra le provincie di Belluno e di Vicenza, si incontrano con alcuni elementi del luogo guidati da "Montegrappa" e procedono tutti insieme verso il forte. Durante il tragitto s'imbattono in quattro guardafili che si fanno disarmare senza opporre eccessiva resistenza. Giunto nei pressi dell'obiettivo il gruppo si ferma. "Bruno" e "Montegrappa" si avvicinano cautamente alle due sentinelle. All'intimazione dell'alt rispondono con la parola d'ordine che era stata loro fornita dai collaboratori. Arrivati a contatto delle sentinelle, le disarmano e subito chiamano i rimanenti partigiani. Con loro viene fatta irruzione nel dormitorio e disarmato l'intero corpo di guardia. Si mette in atto un servizio di allarme per segnalare l'eventuale sopraggiungere di truppe tedesche. Viene inoltre chiesto ai prigionieri di collaborare assicurando loro l'incolumità e il successivo immediato rilascio. Tutti danno la loro disponibilità. Si dà subito inizio al trasporto dell'intero quantitativo di esplosivo contenuto nella polveriera del forte (circa 23 quintali) in un punto centrale della galleria e tutto viene completato con incredibile velocità. A questo punto i prigionieri sono messi in libertà e incaricati di fare evacuare gli abitanti che si trovavano nelle vicinanze, mentre il grosso dei partigiani inizia il ripiegamento. Rimangono nella galleria "Bruno", "Tanicio" e un elemento locale che eseguono le istruzioni ricevute da "Oreste" e danno finalmente fuoco alla lunga miccia (10 m. circa, ndr.), ripiegando a loro volta rapidamente. Dopo un quarto d'ora, sembrato più lungo di un'eternità, all'una del 7 giugno 1944, una violentissima esplosione illumina gran parte della valle e segnala che era stata coronata da successo una delle più grandi azioni di sabotaggio compiute dalla Resistenza italiana. La galleria venne scoperchiata per un tratto di 30 metri e le comunicazioni ferroviarie rimasero interrotte per circa cinque giorni come pure rimase interrotta la strada statale invasa da cumuli di macerie. La notizia della grande azione si propagò rapidamente sollevando ammirazione tra la popolazione, entusiasmo tra i giovani e panico tra i nazifascisti. Anche Radio Londra non mancò di darne notizia trasmettendo un caldo elogio ai protagonisti dell'azione." Sulla via del ritorno, "Bruno" e i suoi compagni distrussero con le mine la cabina elettrica dello stabilimento della "Metallurgica" di Feltre (pezzi per aerei militari) interrompendo per circa tre mesi la produzione bellica tedesca. Si imbatterono poi in una pattuglia tedesca e dopo un'ora di intensa lotta, esaurite le munizioni, "Bruno," da solo e nonostante la forte reazione di fuoco, si portò a distanza ravvicinata e, col lancio di cariche esplosive, ne determinò la resa. Per i fatti di quei giorni fu insignito nel 1947 della Medaglia d'argento al Valor Militare dall'allora Presidente del Consiglio dei Ministri on. Alcide Degasperi. In seguito Feltre gli concesse la Cittadinanza Onoraria, come pure Vittorio Veneto . Il Corpo Volontari della Libertà (C.V.L.) del Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.) tramite il Comando Brigata d'Assalto "Garibaldi" veneto, "Nino Nannetti", citò all'Ordine del Giorno il gruppo comandato da "Bruno": " il Comando di questa brigata, esaminate le azioni svolte dal suddetto nucleo, ritiene doveroso segnalare a tutti i componenti la brigata le brillanti azioni condotte a buon termine sotto il comando di "Bruno" da un così esiguo numero di garibaldini. Detto nucleo ha saputo operare in collaborazione con elementi non appartenenti alle Brigate Garibaldi, dimostrando con questo come sia possibile e doveroso collaborare con tutte le forze disposte alla lotta".
A un convivio di ex partigiani ho incontrato di recente questa importante figura della Resistenza italiana, "leggendaria" anche per le difficoltà dei luoghi ove operò e la scarsità dei mezzi a sua disposizione, che nonostante gli ottantaquattro anni ben portati ha una memoria vivissima. Dal comando della brigata "A.Gramsci" di Pietena, che lui dirigeva, dipendeva tra l'altro la compagnia "Giorgio Gherlenda", in seguito elevata al rango di Battaglione, che operò nel Tesino e in Valsugana. Il 21 agosto 1944 "Bruno" vide partire dalle Vette Feltrine il primo nucleo di partigiani diretti a Cima d'Asta e qualche giorno dopo, per ragioni logistiche, spostatosi a Costabrunella. Mi ha raccontato che salutò e abbracciò uno ad uno i 29 patrioti in partenza, compreso il comandante "Fumo" (Isidoro Giacomin), che morirà neppure un mese dopo durante il rastrellamento dei nazifascisti a Costabrunella.
Per narrare le vicende di "Bruno" durante il Fascismo, prima, con la Resistenza e nell'Esercito, poi, non basterebbe un fiume d'inchiostro. Mi limiterò a un breve profilo, rimandando chi volesse approfondire a consultare le fonti bibliografiche indicate alla fine.
Nato a Gubbio il 15 maggio 1916 da famiglia contadina di mezzadri (suoi avi erano stati servi della gleba), conseguì a Vicenza la maturità classica al liceo "Antonio Pigafetta" militando in quel periodo nell'Azione Cattolica. Nel 1937 entrò all'Accademia Militare e col grado di sottotenente passò alla Scuola di Applicazione d'Artiglieria di Torino, terminandola nel 1941 con la nomina a tenente.
Il 13 giugno 1942 partì da Padova, naturalmente impregnato dell'ideologia fascista come d'altronde tutti quelli della sua generazione specie se militari, alla conquista dell'Unione Sovietica con la spedizione ARMIR. Alla partenza 240.000 tra ufficiali e soldati: 80.000 non faranno ritorno.
Con le tradotte fino in Polonia, quindi procedendo su automezzi, si addentrò nell'immensa e gelida steppa russa. Nella battaglia di Kantermirowka (19 dicembre, vicino al Don) si meritò una medaglia di bronzo. Dalla Bielorussia (Russia Bianca), dopo varie vicissitudini ma con tutti i soldati della sua batteria antiaerea, e questo lo rammenta con orgoglio, ritornò a Padova nell'aprile del '43.
In questo periodo in lui, come in tanti altri reduci, avvenne quella "conversione" che gli avvenimenti e le esperienze trascorse avevano fatto maturare. Gli alleati tedeschi, durante la drammatica ritirata, si rivelarono per quello che erano e "negarono sempre agli italiani ogni aiuto, s'impadronirono degli autocarri disponibili e abbandonarono perfino i nostri feriti senza mezzi di trasporto, senza viveri e senza le indispensabili cure", come si legge in una relazione dello Stato Maggiore italiano (1).
In quella terribile marcia di ritorno, "Bruno" scoprì inoltre che il popolo russo non era quello descritto dalla falsa propaganda fascista.
A Padova entrò in contatto con Concetto Marchesi, famoso latinista poi rettore dell'Università locale, e con Egidio Meneghetti; insieme formarono già da allora un primo nucleo organizzato di antifascisti. Proprio gli ufficiali e i soldati ritornati dai vari fronti formarono l'ossatura della Resistenza armata, portando un bagaglio di esperienze che si rivelò di importanza vitale: qui in Valsugana ne avemmo un esempio col battaglione "G. Gherlenda": il comandante fu il sottotenente degli alpini Isidoro Giacomin di Fonzaso, "Fumo", reduce dal fronte dei Balcani; il compianto prof. Alberto Ognibeni, preside a Borgo, poi a Strigno e a Castello Tesino, reduce dalla campagna del Don, entrò nel "Gherlenda" col nome di battaglia "Leda" e così dicasi di tanti altri soldati. Ai superstiti delle varie guerre del fascismo si unirono in seguito sulle montagne i coscritti che rifiutavano la cartolina precetto.
Il 10 settembre del '43 (due giorni dopo l'armistizio) "Bruno" allestì, in collegamento con il C.L.N., le prime formazioni armate proprio a Padova, poi venne chiamato a organizzare vari nuclei partigiani dal Piave al Grappa, per andare in seguito a costituire nel feltrino la brigata "Gramsci": ne tenne il comando fino al maggio 1945 quando ritornò nella "Zona Piave" quale vicecomandante per poi infine essere nominato responsabile della Piazza di Belluno. "L'uomo dai quattordici presìdi" lo chiamavano i tedeschi: riuscì a sfuggire a tutti i rastrellamenti nazifascisti.
"Il nostro successo è stato soprattutto merito della gente che non ha nome, in particolare le donne, le contadine venete e trentine (conserva ancora le immagini di "Veglia" e "Ora" ndr.) che ci aiutavano a sopravvivere, curando i nostri feriti, rischiando di vedere le loro case bruciate o peggio, se venivano scoperte Allora c'era un grande spirito di collaborazione fra tutte le forze combattenti. La voglia di uscire vincitori da una guerra, che aveva in palio o la libertà o la totale schiavitù dei popoli europei, ridimensionava tutte le ideologie politiche. Si leggeva Marx, ma alla sera si recitava anche il rosario", raccontò "Bruno" a Giovanni Castiglioni che lo intervistò a Saronno.
Sulle Vette Feltrine trovò rifugio nel settembre 1944 per sfuggire a un rastrellamento la missione SIMIA (nome in codice di una spedizione inglese che doveva servire da collegamento e di appoggio alle formazioni partigiane del Cansiglio, dove successivamente giunse) comandata dal maggiore inglese Harold William Tilman e della quale facevano parte il capitano John Ross, il tenente Vittorio Gozzer "Gatti", quale interprete, e Beppo Palla "Pallino", addetto alla ricetrasmittente. Tilman era chiamato "l'uomo più alto del mondo" per aver scalato nel 1936 il Nanda Devi (m.7816 nella catena dell'Himalaya) ed era un camminatore formidabile. Nel suo libro di memorie ("Un maggiore inglese tra i partigiani") narrò la sua avventurosa partecipazione alla Resistenza italiana e in un documento datato 25 giugno 1945 parlò di "Bruno": "Il suddetto comandava la brigata partigiana "Gramsci" quando lo incontrai nel 1944. La mia missione inglese rimase con la brigata per un mese fino al 30 settembre, quando la brigata venne dispersa da un'azione tedesca. Durante questo periodo egli ci dette tutta l'assistenza e l'aiuto di cui era capace. L'organizzazione della brigata, di cui era comandante, era eccellente e benché lavorasse in condizioni difficilissime, i metodi impiegati dal suo Quartier Generale erano da paragonarsi a quelli di una regolare formazione dell'Esercito. Era evidente che "Bruno" era molto rispettato dai suoi uomini quale capo e amico. Sotto il suo comando era la compagnia "Churchill" formata da una dozzina di prigionieri britannici evasi e anche loro esprimevano grande rispetto per "Bruno". Durante l'azione tedesca la brigata si trovò in grandi difficoltà data la mancanza di armi e di munizioni. "Bruno" tentò una resistenza sulla cima della montagna su cui si trovava e si dimostrò di grande coraggio dinanzi al nemico. Benché il suo tentativo fosse frustrato, fu egualmente di grande valore, ritardando l'effetto dell'azione e dando perciò la possibilità alla brigata di sganciarsi da una difficile posizione. A mio parere è un ottimo ufficiale con un buon senso militare. Dopo il 4 ottobre 1944 "Bruno" assunse un altro incarico con un Comando Partigiano Superiore e non avemmo altri contatti con lui."
Assieme a Raffaele Cadorna, comandante del C.V.L, e a Ferruccio Parri, fu insignito a Milano dal generale Clark (5° Armata) della Bronze Medal Star: complessivamente sono 53 gli italiani che possono vantarsi di aver ricevuto questa prestigiosa onorificenza americana.
Finita la guerra, "Bruno" proseguì nella carriera militare, ma nel 1958 al momento dell'avanzamento di carriera dal grado di maggiore a quello di tenente colonnello, nonostante il parere favorevole della commissione a ciò preposta, l'allora Ministro della Difesa, a suo insindacabile giudizio, lo dichiarò inidoneo alla promozione: un partigiano combattente non sarebbe stato affidabile per ricoprire alti incarichi nell'Esercito italiano! Fu una vittima del maccartismo scelbiano. Tornò così alla vita civile, terminando gli esami universitari e laureandosi in Ingegneria, per entrare alla Montedison. In seguito ricoprì la carica di consigliere comunale nelle liste del P.C.I. a Saronno, sua città di adozione. Sta lavorando a una ponderosa documentazione sulla Resistenza nel Nord Italia. Spesso è invitato nelle scuole a discutere di quel periodo, così drammatico per l'Italia e l'Europa intera, del quale egli fu senz'altro un protagonista.
Giuseppe Sittoni
Editorialista de "l'Aquilone"
1) R.Battaglia-G.Garritano, Breve storia della Resistenza italiana, Roma 1973, p. 25.
BIBLIOGRAFIA
A chi voglia approfondire queste vicende, consigliamo la lettura di H.W.Tilman, When men & mountains meet (Quando gli uomini e le montagne si incontrano), Cambridge, 1946 (poi tradotto a cura del comune di Belluno, di cui Tilman fu cittadino onorario, con il titolo Un maggiore inglese tra i partigiani).
* Ferruccio Vendramini, A colloquio con Bruno comandante della Brigata Gramsci, Rivista Bellunese, 1975, n.5, pp.163-177.
* Ferruccio Vendramini, Francesco Da Gioz e la Resistenza nel Bellunese, Roma, 1968.
* Mario Bernardo, Il secondo Risorgimento d'Italia, Centro Editoriale d'Iniziativa, 1954.
* Mario Bernardo, Il momento buono, Roma, 1969.
* Gino Meneghel, Carnematta, Ed. Vitalità, Torino, 1966.
* Giorgio Amendola, Lettere a Milano, Roma 1973.
* Don Piero Polesana, Eroismo e martirio di Aune distrutta dal fuoco, Feltre, 1974.
* Amerigo Clocchiatti, Cammina frut, Milano, 1972.
* Mauro Galleni, I partigiani sovietici nella Resistenza italiana, Roma, 1967.