Cismon del Grappa

Le pagine di Cismon da Cismon


La -repubblica rossa- di Cismon

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LA “REPUBBLICA ROSSA” DI CISMON. 1920-1922

di Lucia Fontana




L’articolo che si presenta è tratto dal periodico “La Gusella”, nr. 92, Natale 2000, pp. 6-7. Ne è autrice la dott.ssa Lucia Fontana, laureata in Storia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia con il prof. Piero Brunello con una tesi intitolata LA “REPUBBLICA ROSSA” DI CISMON. 1920-1922, che è risultata vincitrice del primo premio del concorso organizzato dalla fondazione “Le Due Sorgenti”, edizione 2001.



Un tempo Cismon era nota nella Valle del Brenta col nome di “repubblica socialista”. Essa aveva privilegi propri e persino la zecca. Sono ancora conservate religiosamente le poche monete coniate nel ‘19-’20 con la “falce ed il martello” ed ancora esiste la vecchia bandiera della sezione socialista (…).[1]

E’ il lontano 1991 quando alcuni amici mi parlano della “repubblica rossa” di Cismon. Personalmente non avevo mai immaginato che in questo piccolo paese della Valbrenta, alla fine del primo conflitto mondiale, si fosse vissuta un’intensa stagione di lotte politiche e sociali che diedero vita ad una esperienza amministrativa breve ma importante per la storia futura del paese.
Il periodo a cui si fa riferimento va dal 1920 al 1922: sono gli anni immediatamente a ridosso del cosiddetto “biennio rosso”, caratterizzato a livello nazionale da insurrezioni e scioperi operai e dalla vittoria elettorale in varie zone del paese di coalizioni socialiste.E’ una breve ma intensa parentesi della storia italiana, vista dagli storici come “il momento di massima tensione rivoluzionaria in Italia” e anche “come l’occasione mancata per l’insurrezione vera e propria”.[2]
Nel quadro della storia del sovversivismo vicentino, Cismon rappresenta un caso di indubbio interesse, degno di essere studiato e approfondito, le cui specifiche originalità possono insegnare ancora qualcosa sulla storia delle classi subalterne.
Qui le elezioni politiche del 1919 portano i socialisti alla ribalta della scena politica e alla conquista della maggioranza assoluta dei voti, preparando e preannunciando il successo della coalizione socialista nelle successive elezioni amministrative che si svolgono nell’autunno del 1920 e che danno vita a quell’esperienza politica che nella memoria collettiva viene ricordata come la “Repubblica rossa”.
Così El Visentin, voce dei socialisti vicentini, riporta la cronaca della vittoria a Cismon all’indomani dello scontro elettorale:

La vittoria socialista fu qui strepitosa. Su 423 votanti 307 furono veri operai coscienti e perciò votarono falce e martello con grande dolore e delusione dei poveri pipistrelli [così venivano chiamati gli appartenenti al P.P.I..] i quali dopo lo spoglio dei voti fecero la faccia lunga tanto da sembrare dei cadaveri viventi, uno di questi poi tra i più bacia banchi sembrava proprio Pio IX quando il XX settembre 1870 perdeva il potere di Roma.

Grande fu pure il dolore dei pesci-cagnotti [così venivano chiamati gli aderenti al partito degli ex combattenti] i quali invece di vedere come di solito sul municipio sventolare il giorno 20 settembre il loro prediletto tricolore protettore dei capitali sfruttati e rubati dovettero soffrire invece la terrorizzante bandiera rossa, la quale, a loro marcio dispetto sventolò tutto il giorno(...)[3]

La nomina del Sindaco e della nuova Giunta socialista viene deliberata dal Consiglio Comunale il 1° Ottobre 1920.
I nuovi amministratori, il cui profilo è stato possibile ricostruire anche grazie alle schede raccolte nel Casellario Politico Centrale, si presentano come militanti giovani, tutti appartenenti alla classe operaia e con in genere la sola licenza elementare.
L’Amministrazione socialista rimarrà in carica due anni, fino all’agosto del ’22, quando il fascismo le impedirà di proseguire nell’avventura istituzionale.
E’ un governo breve ma intenso e irto di ostacoli: oltre all’inesperienza amministrativa i nuovi governanti si trovano a dover risolvere problemi economici e sociali pressanti. La popolazione si attende soluzioni rapide ma data la situazione in cui versa il paese lo sforzo è improbo.
Il sindaco Fiorese, chiamato in paese “Bepi Sindaco”, è in prima linea nell’attività a favore dei profughi della valle, ma l’azione di governo risulta fortemente compromessa dai delicati rapporti fra maggioranza ed opposizione.
Il 1921 è un anno chiave nella storia della “repubblica rossa”: è innanzitutto l’anno delle elezioni politiche che per la prima volta vedono presente nella competizione il Partito Comunista d’Italia. A Cismon la nuova formazione ottiene 192 voti, contro i 41 del P.S.I. e i 221 dei popolari, a testimoniare la vocazione massimalista dei sovversivi cismonesi fra i quali ha attecchito il mito della rivoluzione sovietica e l’eco dei Soviet.
E’ legittimo domandarsi il perché di tale adesione maggioritaria al neonato Partito Comunista, orientamento che porta gli storici a definire Cismon “una delle roccaforti dei comunisti in provincia”. La giovane età dei quadri del partito comunista di Cismon, la presenza di larghe fasce sociali emarginate e la forte mobilità da lavoro che ha portato il paese al superamento della marginalità geografica a cui era destinato, sono a mio avviso alcuni dei motivi.
Non si spiegherebbe altrimenti come un così piccolo e marginale paese abbia potuto sentirsi legato a un paese lontanissimo e mai conosciuto, come la Russia, tanto da realizzare, data la scarsità di moneta spicciola, dei gettoni dove l’effige del Re era sostituita dal simbolo dei Soviet, e da investire alcuni seguaci della funzione di “guardia rossa”, con tanto di distintivo consistente in una stella rossa a cinque punte con in mezzo lo scudo “falce e martello”.
Il 1921, anno in cui il fascismo mostra anche nelle nostre zone il suo volto violento e le “squadracce” fasciste compiono le prime drammatiche aggressioni, si chiude nel segno della disoccupazione che attanaglia l’intera provincia:

Nessun operaio lavora nella vallata del Brenta. La fame comincia a mostrarsi nelle sue più dolorose espressioni.(…).Lo spettacolo è desolante. Sono circa cinquemila disoccupati che attendono una occupazione ed un pane. La povera industria del tabacco non può neppure in minima parte venire incontro alle condizioni allarmanti delle famiglie operaie. (…) Fino ad oggi i lavoratori di questa plaga avevano potuto far fronte ai primi, impellenti bisogni della vita occupandosi nell'inverno della sistemazione delle strade e mulattiere rovinate dalla guerra, e nell'estate in lavori edilizi. L'imprevidenza delle autorità di governo è la prima causa di questa situazione che va aggravandosi di giorno in giorno. (…) A tutti questi mali aggiungasi il mancato pagamento dei danni di guerra ai poveri operai della vallata e si avrà un'idea approssimativa della realtà di una situazione ormai insostenibile. (…) Sono oltre tremila le famiglie operaie che attendono!(…) [4]

In questa situazione di crisi generalizzata si apre il 1922 che segna l’inizio della fine della “repubblica rossa” e l’aprirsi di una nuova pagina di storia per i “nostri sovversivi” la cui militanza politica troverà nuove motivazioni nella comune lotta contro il regime fascista.
Le preannunciate dimissioni che interessano tutte le amministrazioni socialiste e molte amministrazioni popolari della provincia sono vicine.
A Cismon l’amministrazione comunista resiste fino ad estate inoltrata, ma il 21 agosto ’22 il sindaco Fiorese rassegna le proprie dimissioni al Consiglio Comunale.
Il passaggio dal biennio rosso al ventennio nero si consuma rapidamente.
Al nuovo parroco, l’Arciprete don Francesco Caron, l’onere di riportare i seguaci delle dottrine marxiste fra le braccia della chiesa cattolica, rinvigorendone la fede intiepidita anche attraverso due manifestazioni pubbliche di sicura presa popolare: l’incoronazione della Madonna del Pedancino e l’assegnazione del titolo di santuario alla Chiesa di San Marco Evangelista.

Che cosa resta oggi delle vicende legate alla storia della “repubblica rossa” di Cismon? Quale memoria si tramanda faticosamente di generazione in generazione? I giovanissimi non ne sospettano nemmeno l’esistenza, mentre i più anziani ne parlano con malcelato disagio, nella reciproca convinzione che “è meglio lasciar perdere”, quasi che il non parlare di una realtà storica mal tollerata potesse bastare a cancellarla; nel mezzo, una generazione di non più giovani, fra i quali trova collocazione anche chi scrive, che, sentendosi in un certo senso “figlia”, o sarebbe meglio dire “nipote”, di questo recente passato, interpreta il tentativo di conoscerne il più possibile come un’operazione necessaria.

In conclusione, oggi, a distanza di circa ottant’anni da quegli avvenimenti, le tracce lasciate dall’intensa stagione di lotta vissuta a Cismon dalla fine del primo conflitto mondiale all’avvento del Fascismo vanno lentamente ma inesorabilmente scomparendo, e così, anche il sacrificio di tanti uomini e donne che hanno pagato di persona, negli affetti più cari, il tentativo disperato di migliorare la propria e l’altrui condizione morale e materiale, rischia di essere vanificato.

La “repubblica rossa” di Cismon resterà comunque nella storia del sovversivismo vicentino un esempio forte di dissenso popolare, sotterraneo eppur presente, reale, “a testimonianza dell’imprecisione della tesi che sostiene la totale omogeneità di comportamento delle genti del Veneto”.[5]

[1] Maggioranza democristiana in 48 su 51 comuni, “Il Giornale di Vicenza”, 8/03/1946.

[2] G. MAIONE, Il biennio rosso. Autonomia e spontaneità operaia nel 1919-1920, Bologna, 1975, p. 7.

[3] Cismon, “El Visentin”, 2/10/1920.

[4] Spaventosa disoccupazione nella Vallata del Brenta,” El Visentin”, 24/12/1921.

[5] T. GASPARI, Sovversivi di provincia, Anarchici, ribelli e sorvegliati speciali nella Verona di fine ‘800, in: “Venetica” a. VI, 1989, n. 11, pp. 54-56.




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